Ripartire dal lavoro - Torino, 9 febbraio 2008

Ricominciare dalla Thyssenkrupp

Il 9 febbraio Rifondazione Comunista ha indetto a Torino, di fronte alla ThyssenKrupp, l’Assemblea nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori.

Si riparte da lì, della ThyssenKrupp, nell’anno del 60° anniversario della Costituzione, per riuscire a capire se l’Italia è davvero ancora una “Repubblica democratica fondata sul lavoro”.

Si incontreranno centinaia di lavoratrici e lavoratori provenienti da tutte le regioni italiane in rappresentanza del mondo del lavoro: quello operaio, dei call center, dell’agricoltura, dell’industria e dell’edilizia, del pubblico impiego e dei servizi, delle false partite iva, dei tanti precari e precarie.

Persone invisibili, senza voce, al massimo compatite per i drammi quotidiani dei loro morti o per la misera busta paga. Ma mai rispettati.

Rispetto per chi tiene in piedi questo Paese, la sua economia e la sua tenuta democratica sono le ragioni del più grande appuntamento operaio di quest’anno. Partiremo da un atto di sincerità riconoscendo che oggi un intero popolo di donne e uomini è escluso dalla divisione della ricchezza che essi stessi producono, dai diritti previsti dalla Costituzione e dalle leggi, fino ad essere considerati cose o merci a disposizione dello sviluppo e della competitività.

Perfino l’omicidio quotidiano di giovani, operai, immigrati viene vissuto come una fatalità.

Gli ispettori, gli enti preposti, i magistrati dimostrano la loro autonomi se escono dalla logica dell’impresa e del profitto e impongono innanzitutto il rispetto della vita.

Il valore del lavoro, la sua rappresentanza sociale e politica si costruiscono attraverso rivendicazioni concrete, conflitti reali, progetti e pratiche che debbono trovare nella “Sinistra”, a partire da Rifondazione, una nuova politica. Una nuova fase per essere compresa deve riconoscere che tutto ciò che è stato fatto sino ad oggi dalle organizzazioni sociali e politiche per resistere alla ristrutturazione dei poteri - dentro e fuori l’impresa -, allo spostamento di risorse dai salari alle rendite, alla precarietà e alla frammentazione, non basta, non è sufficiente, non è più compreso dai lavoratori. Il nostro obiettivo deve essere quello di cambiare la condizione del lavoro. E un nuovo soggetto politico plurale come La Sinistra L’arcobaleno deve avere scritto nella propria carta d’identità il valore del lavoro e la sua rappresentanza, deve avere una proposta e fare battaglie che non siano legate al governo. L’unico vincolo che dobbiamo costruire è quello della rappresentanza di tutto il mondo del lavoro partendo dalla ricomposizione solidale tra le generazioni.

La rottura tra i giovani precari e il resto del mondo del lavoro è il punto da cui ripartire, per farlo dobbiamo capire la trasformazione dell’impresa e del lavoro costruendo e sostenendo rivendicazioni che abbiano al centro il diritto a progettare il proprio futuro.

Alle spalle abbiamo le macerie di una classe capitalistica nostrana che ha dato l’assalto alle casse dello Stato, non ha prodotto crescita e sviluppo e che per la prima volta da dopoguerra ha creato una rottura tra il lavoro e la propria emancipazione.

Per milioni di persone lavorare non significa più uscire dalla povertà. In Italia agiscono due Costituzioni: la prima quella scritta e formale, la seconda quella sostanziale applicata dentro i luoghi di lavoro.

Quando si varcano i cancelli - concreti o virtuali - dell’impresa le persone non hanno più diritti e in molti casi non sanno se usciranno vivi alla fine della giornata.
A Torino, da Torino, partiamo. Percorreremo tutta l’Italia, da nord a sud, per costruire un’altra politica del lavoro, altra da quella di Confindustria, altra da quel disastroso periodo liberista che si è imposto in questi anni.

Se il Paese vuole rinascere, deve ripartire da qui, sicuramente da qui la Sinistra può cominciare.

Maurizio Zipponi*

*Resp. nazionale Area Lavoro ed Economia del Prc

 

e una riflessione del consigliere provinciale di Rifondazione Comunista Aldo Fappani.

La tragica fine dei sette operai della linea 5 morti bruciati alla Thyssen Krupp di Torino tra l’altro ripropone la drammatica questione delle morti sul lavoro in Italia e del profitto a tutti i costi. Certo ogni vicenda ha la sua storia. Questo grande stabilimento - già complesso siderurgico Fiat Ferriere e poi Teksid Acciai - contava ancora nel 1.980 su circa tredicimila lavoratori. Da allora il declino fu lento ma inarrestabile e voluto dai vertici Fiat tra ridimensionamenti degli impianti, dismissioni, cessioni con smembramenti di reparti, riconversioni con diversificazioni di produzioni. Poi negli anni novanta la Finsider la vendette ai privati: in parte al gruppo Riva e in parte ai tedeschi del Gruppo Thyssen Krupp. Per alcuni anni grazie alla alta professionalità delle maestranze e alla attenta collaborazione degli stessi con le organizzazioni sindacali si riuscì a garantire le lavorazioni a ciclo continuo e contemporaneamente le adeguate misure di sicurezza a tutela dell’integrità fisica di chi operava. Ma da tempo le cose erano peggiorate. Manutenzione ai macchinari insufficiente, pesante carenza di personale, turni stressanti, depotenziamento delle più elementari misure di sicurezza con aumento notevole del rischio lavorando tra il fuoco e temperature estreme vicino ad acidi e solventi, sono le cause che hanno determinato la devastante fine dell’azienda torinese. Si è accertato che la Thyssen sino al tragico rogo non aveva il certificato prevenzione incendi e che solo in una settimana di accertamenti della Asl sono stati riscontrati ben 116 violazioni di legge. Questo ha inchiodato alle proprie responsabilità la multinazionale che invece grazie a documenti rintracciati dalla Guardia di Finanza assurdamente si lamentava per l’opera del giudice Guariniello. Del clima in una città troppo di sinistra schierata dalla parte dei lavoratori. Della disattenzione degli operai morti a cui attribuire le colpe dell’accaduto. Della necessità di fermare le dichiarazioni dei pochi sopravvissuti sui media preventivando appena più calme le acque ritorsioni contro di loro. Giovani vite stroncate e famiglie distrutte in una storia atroce. Ma il quadro di quanto successo si somma alle cifre allucinanti dei morti sul lavoro in Italia che nell’anno appena trascorso hanno superato le 1.328. Mentre nel solo mese di gennaio di questo anno siamo già a 82 morti sul lavoro, a 80233 infortuni e a 2.006 invalidi. Cifre inaccettabili per un paese civile e industrialmente avanzato come il nostro. Occorre potenziare i controlli e le ispezioni in cantieri e aziende con maggiore personale adeguatamente preparato. Occorre legiferare con un nuovo Testo Unico riguardante la sicurezza nei posti di lavoro attivando nuovi Decreti attuativi altrimenti la legge 123/2.007 sarà quasi inutile.

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Così giustamente recita la Costituzione. Ma tra disoccupazione, lavoro nero, precarietà, bassi salari, infortuni, dove sta il diritto alla dignità della persona umana e dei lavoratori ?

 

Aldo Fappani

 

 

( mercoledì - 30 gennaio 2.008 )